Fra i tesori d'arte di Siena, nel Palazzo Pubblico, e più esattamente nella sala del Mappamondo, quasi tutta affrescata da Simone Martini, il più illustre artista del Trecento senese insieme a Duccio di Boninsegna e ad Ambrogio Lorenzetti, vi è la parete ovest in cui Simone Martini propone in termini pittorici la conquista dei castelli della Maremma e dell'Amiata, conquista documentata negli archivi comunali di Siena, che registravano puntualmente eventi, incarichi e contabilità della Repubblica senese. Siamo intorno al  XIII e al XIV secolo, di fatto agli albori dell'arte pittorica italiana, quella che a Firenze dette origine ai capolavori di Giotto e Cimabue.

In particolare nella sala del Mappamondo è raffigurato un cavaliere isolato,  individuato tradizionalmente in Guidoriccio da Fogliano, condottiero mercenario dell'esercito senese, alla conquista del castello di Montemassi, rappresentazione attribuita al maestro Simone Martini, considerata una delle opere più significative dell'epoca, tanto da costituire forse l'opera più effigiata e riprodotta in riviste o testi specializzati, dopo la Monna Lisa di Leonardo o le Madonne di Raffaello.

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Prima di cliccare sull'immagine per avere l'ingrandimento, tieni presente che:

- l'affresco superiore con cornice (dove si può leggere la data del 1328) è l'affresco tradizionalmente attribuito a Simone Martini; rappresenta Guidoriccio alla conquista dei castelli di Montemassi e Sassoforte. Il castello intermedio è stato individuato come un "battifolle", ma più probabilmente  è il maniero di Roccatederighi.

- nella parte centrale è l'affresco scoperto nel 1980, oggetto della disputa. Da notare che le cerchiature dell''intonaco sono da addebitare alla presenza di una tavola, oggi rimossa, raffigurante una carta geografica (un mappamondo), che girando su un perno graffiava l'intonaco.

- i due ritratti di santi posti lateralmente sono il S.Ansano e il S.Vittore, realizzati dal Sodoma, nel 1529 circa.

 

Ma nel 1980, nel corso di un restauro finanziato da un'associazione artistica tedesca, venne alla luce un nuovo affresco sottostante al "Guidoriccio da Fogliano",  la cui cornice più bassa lo ricopre in parte. Questo evento ha rappresentato l'occasione e il momento per l'apertura di una controversia, già latente nel passato, sulla paternità del Guidoriccio da Fogliano, che una parte della critica d'arte mondiale ritiene essere un'opera databile ad epoche successive e non attribuibile a Simone Martini.

Si capì subito che la qualità dell'opera che stava emergendo in quel 1980 era altissima, degna di un grande artista del trecento senese (lo stesso Simone Martini o Ambrogio Lorenzetti). Ma, con grande sorpresa, il rinvenimento artistico si fermò lì: ciò che era stato scoperto era un castello, circondato da una chiesa, da vari edifici e da recinzioni, individuato subito, con grande attendibilità, nel castello di Arcidosso, conquistato dai Senesi nel 1331 unitamente a Casteldelpiano. Ma la scoperta del nuovo affresco mise in evidenza anche due figure emblematiche, in una scenografia densa di significato. Un personaggio con vesti civili, ma armato di spada,  figura che appare dominante nella scena, che era nascosto o cancellato da un bizzarro strato di vernice blu, e l'altra con veste scura propria di un castellano, in atteggiamento di resa. Le due figure dovrebbero ragionevolmente riferirsi, come affermano Moran e Mallory, al vero Guidoriccio, che conquistato Arcidosso, ottiene in via pacifica da un conte Aldobrandeschi (l'altra figura) la cessione di Casteldelpiano.

 

 

Vale qui ricordare che il Governo dei Nove di Siena, difficilmente avrebbe  consentito la raffigurazione celebrativa di un condottiero mercenario, che dopo qualche anno fu pressochè espulso da Siena e andò a comandare le armate di signorie o ducati, nemici di Siena. In tal caso l'immagine, sia pur riprodotta con abiti civili (in genere dopo la conquista dei castelli il condottiero militare diveniva per un certo tempo Capitano del popolo, e quindi esercitava funzioni civili), veniva sfregiata o addirittura cancellata (vernice blu !!), passando dal ruolo di protagonista delle conquiste territoriali al ruolo di vile traditore.

Ma, allora, se il vero Guidoriccio da Fogliano, era quello raffigurato nell'affresco scoperto nel 1980, chi è quel cavaliere in gualdrappa e paludamenti, che sta a cavallo di un quadrupede assai improbabile, dal muso convesso e dall'andatura maldestra ?

E se il castello é Arcidosso, come sembra evidente per le coerenze morfologiche e paesaggistiche che qualcuno ha definito addirittura sovrapponibili, ne consegue che da documenti d'archivio storicamente e cronologicamente accettati, risulta che Arcidosso fu conquistato da Siena, con le armate di Guidoriccio, nel 1331, e che la cornice dell'affresco tradizionale sovrastante a quello scoperto nel 1980, porta la data di esecuzione del 1328. Il che è chiaramente impossibile; neppure in caso di ripensamenti l'autore di un affresco può cadere in simili contraddizioni, evidenziate peraltro ingenuamente con l'apposizione di una data scritta. Si dirà che l'indicazione dell'anno 1928, inserita nella cornice, intenderebbe riferirsi alla conquista di Montemassi, avvenuta in quell'anno, e che la realizzazione del dipinto è in realtà databile nell'anno 1330, come risulta da accertamenti storico- cronachistici, ma è certo comunque che la conquista di Arcidosso è da attestarsi al 1331 e di conseguenza l'esecuzione dell'affresco sottostante, celebrativo dell'evento, è sicuramente successiva al 1331. Stando così le cose il "Guidoriccio alla conquista di Montemassi" non poteva quindi collocarsi al di sopra della conquista di Arcidosso.

 

Sotto, a sinistra, è un particolare dell'affresco scoperto nel 1980, riferito al castello. Si noti la pianta a destra, che in una visione più dettagliata sembra avere varie ramificazioni tutte nascenti da una piattaforma murata, ma tutte piegate in diagonale. Questa stessa alberatura la  ritroviamo esattamente negli stemmi (o sigilli) della Comunità di Arcidosso, che nel corso dei secoli ha sempre avuto come emblema un castello con un albero piegato quasi a 45 gradi. Qui sotto, a destra, uno stemma di Arcidosso tratto da una stampa del 1883. Anche oggi il comune di Arcidosso è rappresentato con uno stemma, ove compare il castello con una pianta sulla sinistra. In  cronache del passato è descritta come presente realmente a lato del castello una pianta di quercia. Il fatto che essa a volte è rappresentata sulla destra, a volte sulla sinistra, non deve trarre in inganno: cambiando angolo visuale, essa può apparire a destra se si guarda da sud-ovest e a sinistra se la si guarda da nord-est.

 

 

Le tesi di Gordon Moran e di Michael Mallory, il primo proveniente dalla Yale University di New Haven, il secondo accademico dell'Università di Nuova York, che andavano affermando da qualche tempo l'insostenibilità dell'attribuzione a Simone Martini, si sono diffuse e hanno trovato un vasto credito in tutto il mondo dell'arte. Secondo la loro interpretazione il cavaliere dell'illustre affresco, cioè il personaggio che si è creduto di individuare per secoli nel condottiero Guidoriccio da Fogliano alla presa di Montemassi, sarebbe una sovrapposizione tardiva eseguita da mani ignote e inesperte, inserita in modo ingenuo in un paesaggio che rappresenta il ciclo della conquista del castelli, commissionato a Simone Martini secondo risultanze archivistiche e documentali ineccepibili, nel periodo che va dal 1320 al 1331.

Al di sotto del discusso cavaliere vi sarebbe probabilmente la storia delle annessioni territoriali della Repubblica di Siena, il cosiddetto ciclo della conquista dei castelli della Maremma e dell'Amiata, fino a chiudere proprio con Arcidosso e Casteldelpiano, la cui ricostruzione pittorico-celebrativa ma soprattutto storica-documentale merita un attento esame, che finirebbe per convalidare e fare chiarezza su Simone Martini ed il Trecento senese.

Esistono documenti d'archivio che dimostrano che nel 1331 Guidoriccio da Fogliano conquistò Arcidosso e altre terre dell'Amiata, fra cui importantissimo il castrum di Casteldelpiano, e ci sono carte (durante il governo dei Nove in Siena si annotavano accuratamente gli atti e gli eventi dell'epoca in registri che poi venivano rilegati con le "biccherne") che attestano in modo ineccepibile che Simone Martini soggiornò ad Arcidosso e a Casteldelpiano perchè Siena lo aveva incaricato ufficialmente di dipingere i due castelli. Un sopralluogo, quindi, che venne compensato unitamente alla realizzazione dell'affresco con 23 lire in moneta dell'allora repubblica senese, un onorario superiore a quello relativo a tutti gli altri incarichi ricevuti da Simone Martini, che si presume ragionevolmente autore di tutto il ciclo degli affreschi celebrativi della conquista dei castelli.

   

 

 

 

 

Nel 1330, su incarico del governo senese, Guidoriccio da Fogliano, condottiero di ventura, muove con quattromila fanti, di cui una parte a cavallo, per attaccare i conti di Santa Fiora, cioè gli Aldobrandeschi, in quel periodo rappresentati dall'anziano padre Stefano Aldobrandeschi, che coinvolto in beghe familiari condivideva il potere decisionale della casata non solo con i figli Giovanni e Senese (vedi la genealogia curata da Davide Shamà), ma anche con altri parenti del ramo di Sovana. La minaccia costituita da un'armata così possente persuade subito i conti di Santa Fiora ad accettare una pace imposta, ma non ben accettata. Dopo un breve periodo di  tergiversazioni con Siena, i conti di Santa Fiora organizzano una difesa passiva e lasciano strategicamente il castello di Santa Fiora alle armate senesi, rifugiandosi con parte della propria corte (una corte sempre pronta a cambiare sede, una corte "errante") nel castello di Arcidosso, meglio difendibile sul piano militare.

Nell'aprile 1331 Guidoriccio stringe d'assedio la roccaforte di Arcidosso, dove sono presenti alcuni degli Aldobrandeschi. Trova resistenza, ma dopo quattro mesi, riesce ad entrare nell'abitato attraverso un passaggio sotterraneo, scavato dagli assedianti. Vi sono vittime, ma i conti Aldobrandeschi chiedono prontamente la resa, onde evitare il peggio. Anche il maniero di Casteldelpiano dopo pochi giorni è ceduto a Guidoriccio. Grandi festeggiamenti a Siena, ma la pace con gli Aldobrandeschi e una sorta di compromesso sul castello di Santa Fiora avverranno solo qualche mese più tardi, non estranei pagamenti in fiorini, alle condizioni poste da Guidoriccio, abbastanza flessibili e comunque non vessatorie per gli Aldobrandeschi. Il Governo senese non approva completamente il comportamento del proprio condottiero, pur rinnovandogli il comando dell'esercito senese. Nel settembre 1333 avviene la rottura e Guidoriccio rientra nella sua Reggio Emilia, da cui viene scacciato più tardi dai Gonzaga. Nel gennaio 1337 lo ritroviamo Podestà di Padova, a testimonianza di un carattere che non disdegnava la conquista e l'esercizio del potere anche in modi diversi da quelli militari.

Questa breve cronistoria sta a dimostrare quanto credibile sia l'interpretazione della scena tra i due personaggi raffigurati nell'affresco del 1980: un conte Aldobrandeschi al momento della resa, era presente nel castello di Arcidosso, e pertanto l'atto di  sottomissione, con la consegna pacifica di Casteldelpiano a Guidoriccio, è del tutto verosimile e compatibile con la cronologia e gli avvenimenti storici. Questa stessa interpretazione è stata ricostruita e riproposta pittoricamente nella saletta preconsiliare del Municipio di Casteldelpiano in un affresco-riproduzione che segna fedelmente, ed in modo esemplare, le considerazioni  storiche e iconografiche che hanno fatto seguito  alla scoperta del 1980. Ne sono autori i due artisti emiliani William Tode e Paul Angel, studiosi peraltro di arte medioevale. 

E poichè la commissione dell'affresco celebrativo della conquista dei castelli di Arcidosso e Casteldelpiano fu affidata dal governo dei Nove a Simone Martini, diviene conseguente che la paternità dell'affresco scoperto nel 1980 appartenga proprio al maestro Simone, compatibile anche per lo stile e il paesaggio. Ma questa che oggi è un'ipotesi, sia pure fondata, potrebbe essere definitivamente convalidata dal completamento dell'opera di ricerca e di "bonifica" della parete della sala del Mappamondo. Probabilmente il ciclo dei castelli emergerebbe in modo compiuto e un contributo così importante andrebbe ad arricchire il patrimonio artistico di Siena e dell'intero paese, anche in termini di conoscenza e di implicazioni.

 

 

 

 

 

  

Il paesaggio di Simone Martini costituisce una virtuosa innovazione nell'arte dell'epoca. Egli introduce elementi di gotico in strutture di fortificazioni e castelli, che nella realtà architettonica forse non sempre si ritrovano. Ma questo suo stile lo rende inconfondibile e fornisce identità e riconoscibilità assai puntuali all'artista.

La rappresentazione paesaggistica è senza dubbio una prerogativa di Simone Martini, specie quando l'artista si è impegnato in dipinti non a carattere religioso. Il paesaggio dei castelli e dei campi circostanti che formano la base panoramica su cui si è insinuato il cavaliere vacillante, e cioè lo sfondo di Montemassi, Sassoforte e forse Roccatederighi,  può ancora resistere ad una severa valutazione sull'autenticità di Simone Martini, pur depurandolo necessariamente da alterazioni, ridipinture e superfetazioni anche gravi (ad esempio gli accampamenti e i vigneti). E' invece il tradizionale cavaliere, creduto Guidoriccio,  che svanirebbe nelle nebbie dei falsi o delle opere minori. La figura equestre che per secoli ha simboleggiato i tesori dell'arte senese, ed in particolare del Trecento senese, dovrebbe cedere il passo ad altri affreschi, che sicuramente si trovano in altri strati di intonaco, oggi sottostanti ai ritratti del Sodoma (S.Ansano e S.Vittore, patroni di Siena) e allo stesso discusso cavaliere. Una serie di interventi indolori, prima di studio, di analisi e di ricerca, e successivamente di pulitura e restauro, che con le moderne tecnologie non farebbero perdere nulla di ciò che oggi è visibile,  richiedono una volontà istituzionale e popolare con il rischio implicito di determinare uno shock culturale, cui la Siena attuale non intende forse sottoporsi.

L'emergere dell'affresco del 1980 ha stravolto i canoni tradizionali di una attribuzione artistica che nel tempo era già stata messa in discussione (per tutti Venturi in "Storia dell'arte italiana", Milano 1907, e all'estero A. Brown, 1979, U. Middeldorf, 1977). Ma dal 1980 poco è successo se non polemiche, controversie, dispute storiche e dottrinali, che non hanno fornito quelle che oggi appaiono le conclusione più ovvie, cioè la necessità di studiare e progettare in modo organico e interdisciplinare, utilizzando le tecniche che oggi sono disponibili, l'intera parete ovest della sala del Mappamondo e rendere chiaro ciò che oggi è solamente ipotetico.

A questo proposito una recente esposizione, aperta a Siena nell'ottobre 2003, sulle opere di Duccio di Boninsegna,  ha rispolverato un' attribuzione artistica dell'affresco in questione allo stesso Duccio, recuperando i risultati di uno studio (solo un'ipotesi, fatta poco tempo dopo la scoperta) del critico d'arte tedesco Max Seidel e del prof. Luciano Bellosi, datato 1982, attribuzione che poi è stata riprodotta nella didascalia oggi presente sotto l'affresco nella sala del Mappamondo.

A parte ogni considerazione sulla legittimità di qualsiasi tentativo in  materia di attribuzioni artistiche, in cui ogni interpretazione può avere una sua valenza, appare azzardato come questa ipotesi, che ha lasciato abbastanza indifferente il mondo della critica in tutti questi anni, tant'è vero che i più aggiornati e puntuali trattati di storia dell'arte hanno continuato ad attribuire ad "autore ignoto" la paternità dell'opera, abbia potuto ottenere una convalida, che è da ritenere scarsamente convincente perchè non sorretta da ulteriori ricerche sulla struttura muraria, che non sono avvenute dal 1980 ad oggi, nonostante il tempo trascorso. In relazione a ciò, e allo stato attuale delle cose, vale la pena di puntualizzare quanto segue. L'attribuzione a Duccio, che comporta peraltro l'identificazione del castello con Giuncarico e non più con Arcidosso - perchè l'esecuzione del castello amiatino (Arcidosso) era stata sicuramente commissionata a Simone Martini e non a Duccio -  non sembra reggere più di tanto se si considera  che Duccio non ebbe mai a praticare la pittura murale, che lo stesso Duccio non risulta abbia mai affrontato soggetti che non fossero sacri, che il paesaggio e la morfologia di Giuncarico non presentano pendii rocciosi, ma forme dolci e leggermente declinanti verso il piano (esattamente il contrario dell'austero e severo arroccamento che compare nell'affresco), che documenti storici rinvenibili negli archivi senesi dimostrano che la conquista di Giuncarico avvenuta nel 1314 non fu una sottomissione pacifica, come sostengono gli autori dello studio, ma un massiccio intervento armato, prima minacciato e poi eseguito. Quel che rimane poi del castello di Giuncarico è una base poligonale a scarpa che non collima con la conformazione del castello affrescato. Tuttavia se questa ipotesi fosse plausibile, l'autenticità del cavaliere tradizionale ne riceverebbe un soccorso provvidenziale perchè non esisterebbe più la sovrapposizione delle datazioni.

Secondo un saggio molto acuto e documentato di Mauro Aurigi, cultore dell'arte e della storia di Siena, il cavaliere creduto Guidoriccio, sarebbe un anacronismo riconducibile ad epoche più tarde. Il confronto con altri cavalli dipinti da Simone Martini, evidenzia differenze incolmabili. Ma non solo si esclude la paternità di Simone Martini. Si esclude anche che questo personaggio equestre sia Guidoriccio da Fogliano: non ci sono infatti segni di cancellazione o di sfiguramento, dopo che Guidoriccio  andò a prestare la sua opera di mercenario a favore di nemici di Siena, pratica che avveniva  puntualmente in quei tempi, in nome della cosiddetta "damnatio memoriae". 

Nel 1337 egli è sicuramente podestà di Padova, dove si conservano gli stemmi e gli emblemi delle casate dei vari reggitori della cosa pubblica. Per la casata di Guidoriccio da Fogliano gli stemmi araldici sono totalmente diversi da quelli che appaiono sulla gualdrappa e sulla tunica.

Comunque l'enigma Guidoriccio permane. La disputa è più che mai aperta, anche in virtù del testo pubblicato dalla casa editrice Notizie d'Arte di Siena, di cui sono autori Moran e Mallory, che riassume la vertenza e introduce nuove testimonianze, oltre quelle di illustri critici e cultori d'arte che in epoche diverse si sono espressi a favore o contro le loro tesi. A mettere ulteriormente in dubbio l' attribuzione del tradizionale dipinto a Simone Martini, ci sono poi alcuni bozzetti preparatori datati 1442-44 rinvenuti da un antiquario palermitano nel 2010, che sembrano avvalorare gli studi di Gordon Moran. Tra i favorevoli, diretti cioè a negare o comunque a diffidare dell'autenticità del Guidoriccio vanno ricordati  Federico Zeri,  Giuliano Briganti, Vittorio Sgarbi, Mario Ascheri e poi Gloria Chiarini, Renato Pisani, Christine Sundt (università dell'Oregon), John Swan (su "Etica all'interno e fuori"), Thomas de Wesselow, Clara Valenziano, Maurizia Tazartes, ed altri critici e storici d'arte, specie americani e inglesi. Notevoli gli apporti  al dibattito che sono reperibili in internet, ancorchè  difficilmente raggiungibili poichè inseriti in settori web non sempre nella disponibilità di un comune navigatore della rete.


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