Centro
di soggiorno estivo e invernale, il più importante e meglio
attrezzato del territorio del monte Amiata. Dell'Abbazia di S.
Salvatore, che per un millennio circa ebbe ad irradiare il suo
potere in tutta la zona amiatina orientale, restano la chiesa e
la cripta. Dalla storia e dalla leggenda si apprende che questo
monastero, prima benedettino poi cistercense, nacque intorno al
750 per volere del re longobardo Rachis, che lo destinò
inizialmente al controllo della
via Francigena, che correva
lungo la vallata immediatamente sottostante. Successivamente il
potere temporale di questa abbazia, pur scontrandosi assai spesso
con gli Aldobrandeschi, i potenti nobili i cui territori
comprendevano tutto il versante occidentale dell'Amiata, trova
grandi riscontri nella storia della Toscana e nei rapporti fra
Papato e Imperatori. In tale contesto storico ambientale,
registra un notevole interesse anche il borgo medioevale, che si
conserva quasi intatto con anguste strade pittoresche.
Abbadia
S. Salvatore ha conosciuto negli ultimi due secoli gli aspetti
positivi ( che ne derivavano per l'indotto economico) e insieme
negativi (per le condizioni di lavoro dei minatori) di un
rilevante sviluppo minerario collegato alla produzione del
mercurio, le cui miniere risultano oggi tutte chiuse.
Nei
dintorni di Abbadia la cappella dell'Ermeta, cicondata da una fitta boscaglia.
Non lontana dall'abitato urbano, la vecchia area della miniera, una delle più produttive di cinabro, a testimoniare
un'attività economica ormai non più attuale, tanto da essere divenuta oggetto
di un intervento di riqualificazione urbana con insediamenti artigianali e con un interessante
Museo minerario, aperto nel gennaio del 2001, ricavato nella palazzina della
Torre dell'Orologio. La miniera di Abbadia, la cui storia è oggi tema di
questo museo minerario, è passata nell'arco di circa un secolo dalla fase
pionieristica della ricerca alle fasi di grande utilizzo produttivo (anni
'30-40), fino a quella del progressivo ridimensionamento, dovuto all'abbandono
del mercurio nei vari usi industriali in cui tale metallo era impiegato.
Chiusa completamente la miniera di Abbadia
circa quaranta anni fa, e con essa anche gli altri giacimenti dell'Amiata, rimane
oggi la testimonianza di una esposizione museale, che ripropone in
termini chiari ed organici la storia, la geologia, gli aspetti tecnici
e sociali di un'epoca che ha lasciato il segno nella gente
abbadenga.
ABBADIA S.SALVATORE, provincia di Siena. Altitudine mt.
829. Abitanti 6006. Dista da Siena 67, km da Grosseto 79 km., dal
casello di Chiusi dell'A1 48 km.. Alberghi, ristoranti ed altre
strutture ricettive (in particolare impianti sportivi e
culturali) di buona qualità.
Risiede nella parte orientale del
Montamiata, sul lembo del pianoro dal quale sporge la
gran massa di peperino (trachite) che ne formò il suo
dorso...in una pianura di circa mezzo miglio di
larghezza, rivestita di giganteschi castagni che adornano
e riparano con la loro irradiata ombra vaghi paesaggi,
presso a verdi praterie, in mezzo a orti irrigati da
limpide e perenni sorgenti, primo alimento del fiume
Paglia. E' difesa dalla parte occidentale da alte mura
castellane, mentre dal lato di oriente riposa sopra
ripide scogliere di peperino davanti a cui apresi
spaziosa prospettiva sino al lago di Bolsena e alle
romane maremme, in un clima alquanto rigido nell'inverno,
ma altrettanto temperato e salubre nella calda stagione.
In rapporto alle produzioni
agrarie di questa comunità, esse consistono in folte
foreste di faggi che rivestono la parte superiore della
montagna sino a circa mille braccia al di sotto della sua
più elevata cima, alle quali subentrano estesissime
selve di castagni, il cui suolo è ricoperto di erbe,
molte delle quali ad uso medicinale, e che tutte insieme
somministrano un copioso e saporito pascolo alle greggi.
Dove terminano le rupi di peperino trovano ricetto i
campi sativi, gli orti, i querceti ed altri alberi più
domestici, sino a che succedono nelle piagge più
assolate i vigneti, tanto dal lato della val di Paglia,
quanto da quella della val d'Orcia.
Sono di gran profitto i
pascoli naturali sparsi tra le selve del Montamiata, dove
nell'estiva stagione si riparano e trovano alimento molte
mandrie di pecore e qualche branco di capre e di bestie
bovine, che migrano dalla Maremma, oltre a non pochi capi
di bestiame indigeno...
Ma il profitto e la
risorsa più importante consiste nel prodotto dei
castagni, il cui frutto, oltre a somministrare per la
massima parte dell'anno un alimento sano, nutritivo e
gradevole al palato, è un oggetto di utile commercio e
di esito sicuro nelle adiacenti contrade, segnatamente
nella Maremma grossetana. Il legname dei castagni e
quello dei faggi fornisce alle arti materiali da lavoro
per utensili grossolani, consistenti in seggiole, madie,
barili, bigonci, ecc.
Mancano opifici
all'Abbadia, se, nel numero di questi non si volesse
ammettere una piccola fabbrica di cappelli dozzinali di
feltro, ed una tintoria con gualchiera per i panni che
ivi si tessono. L'industria manifatturiea sembra
stazionaria fra i Badenghi, abituati ad una vita frugale,
che trova il suo piacere e delizia nella propria
famiglia, egualmente straniera ai clamori del mondo,
quanto è aliena dal lusso e da tuttociò che possa
ispirare desiderio di superflue novità.(E.
Repetti, Dizionario geografico, fisico e storico della
Toscana, anno 1833) |
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Con diploma ricordato dal
Muratori (Rerum Italicorum scriptores) in data 12
novembre 800 apud Monasterium Sancti Salvatoris, e
secondo la nuova cronologia 799, l'Imperatore donava ai Monaci di detto
Monastero tutto il terreno a sud dell'Amiata compreso tra la più alta cima del monte
fino alla confluenza col fiuma Paglia, dei torrenti Rigo
e Senna. Entro questa superficie di territorio, era
compreso quel terreno, anche allora coperto di faggi, che
si estendeva nella parte più elevata del Monte Amiata. I
Monaci, avendo a sufficienza per i propri bisogni di
legna da ardere, che ritraevano dai luoghi immediatamente
vicini al Monastero, non usufruirono mai di quel bosco,
che divenne una selva impraticabile per la folta
vegetazione, rifugio sicuro di lupi, di cervi, di
caprioli e di mille altre bestie sia appartenenti ai
quadrupedi che ai volatili. Pio II ci narra che, nella
sua gita sulla Montagna, ebbe a vedere una grossa pianta
di faggio nella quale un numero imprecisato di scoiattoli
si rincorrevano lungo i rami.
Verso la fine del secolo XIII, gli
abitanti del castrum apud Abatiam Sancti Salvatoris
cominciarono a tumultuare per liberarsi del vassallaggio
sotto il quale li deteneva l'Abate, e chiesero per tale
scopo uno statuto che garantisse la propria libertà.
Questo statuto fu poi concesso al popolo dall'Abate
Rolando nell'anno 1313, ma, alle prime richieste, l'Abate
aveva opposto il più deciso rifiuto. Seguitando però ed
aumentando sempre più le richieste e le minacce, i
Monaci compresero che, per non incappare in peggio,
occorreva fare al popolo qualche concessione. Ed allora
l'Abate gettò, come offa, nelle fauci affamate del
popolo, il fondo della Macchia Faggeta che non aveva mai
dato al Monastero reddito di sorta. Ed infatti, con atto
rogato dal notaio Vulpinius, notaro in Collemala, in data
11 novembre 1292, atto che si conserva tuttora
nell'Archivio Fiorentino, l'Abate donava agli abitanti
del Castello di San Salvatore, tutta quella parte della
montagna che era ricoperta di piante di faggio:
"Tota fagarum sylva, dice il testo del contratto,
quae super castanearum vegetationem".
Quando, nel 1313, il
castello ebbe dall'Abate un proprio statuto e si
costituì in libero Comune, il fondo, che era di
proprietà del popolo, passò al Comune, il quale lo
tenne indisturbato fino quasi alla fine del secolo XVIII,
permettendo a tutti gli abitanti di legnare per i propri
bisogni, salvo la corresponsione di un mitissimo canone.
Proprio verso la fine
del secolo XVIII, saliva al trono di Toscana il Granduca
Pietro Leopoldo I di Lorena, principe con l'animo
imbevuto delle nuove idee sparse dagli enciclopedisti
francesi, e che si riteneva inviato da Dio per
trasformare il mondo. Non appena salito al trono, volle
applicare questi suoi principi al suo Granducato. Molte
furono le riforme da lui poste, alcune delle quali,
precorritrici dei tempi moderni, dimostravano come una
mente non comune guidasse quel sovrano; altre, ricavate
solo da una teoria astratta, portarono più danno che
utile. Intanto nell'anno 1783, emanò un motu-proprio col
quale si ordinava l'allivellazione o la vendita di tutti
i beni immobili di proprietà degli enti comunali, per
togliere quei beni, si diceva nella prefazione al
motu-proprio, dalla condizione stagnante in cui per il
loro stato giuridico venivano estraniati dal mercato e
resi infruttiferi. Entro quel motu-proprio ricadeva la
proprietà della Macchia Faggeta, di cui il nostro Comune
era proprietario.
Gli abitanti di Abbadia
compresero subito quale danno immenso a loro poteva
pervenire se quel decreto legislativo venisse attuato, e
fecero tutto il possibile per ottenere una deroga o
quantomeno una proroga; fu mandata perfino una
commissione a Firenze per supplicare il Granduca, ma
tutto fu inutile. Intanto un commissario granducale
fissava la vendita del fondo all'asta, da tenersi nella
sede municipale, nel giorno 15 ottobre 1786, per il
prezzo di scudi toscani duemilacinquecento. Allora gli
abbadenghi pensarono di raggiungere il loro scopo, dal
momento che i mezzi legali erano riusciti vani, con altri
mezzi fuori magari dalla legge, ma più efficaci. Quindi
fecero comprendere a quei due o tre paesani che si
trovavano nella condizione di poter sborsare la somma
allora cospicua di 2500 scudi, di non concorrere
all'asta, se non volessero poi trovarsi in grossi guai,
e, nel giorno fissato per l'asta, fecero buona sentinella
in tutte le strade perchè nessun forestiero si recasse
ad Abbadia per concorrere all'asta, e in tal modo l'asta
rimase deserta...
Giunti a questo punto,
altro non rimaneva che procedere alla vendita del fondo a
trattative private, ma se tutto era pronto, mancavano i
2500 scudi che nessuno voleva sborsare. Ma però
quest'ultima difficoltà, paraninfo un prete, certo don
Marco Barbieri, fu molto elegantemente girata. Così fu
deciso che si sarebbero presentati all'acquiso 58
individui tutti di Abbadia San Salvatore con il patto
però che il fondo, dopo l'acquisto, rimanesse in uso
all'intera popolazione...
Avvenuto tutto questo,
qualche anno dopo si arrivò alla stipula del contratto
ai rogiti del notaio Coli di Campiglia d'Orcia, col quale
viene costituita la Società della Macchia Faggeta fra
203 soci, di cui 58 già proprietari del fondo da loro
acquistato, ed altri 145 individui che entravano a far
parte della società con gli stessi diritti e con gli
stessi oneri dei primi...
(Giovanni Volpini, Storia
della Macchia Faggeta, anno 1953) |
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